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l film del poco prolifico ma, in compenso largamente sottovalutato Michael Mann si iscrivono nella linea di opere esemplari come quella di Alan Pakula sul Watergate, TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE. O sull'etica dell'informazione: che risalgono al 1931, come PRIMA PAGINA di Milestone, poi ripreso nel 74 da Billy Wilder. Con una differenza: che al bersaglio del potere politico va ormai sostituendosi quello della logica altrettanto spietata dell'economia. Film costruiti sull'estetica del poliziesco, ma che mirano alla denuncia politica e quasi alla militanza, all'esigenza di un ruolo etico del semplice cittadino, dei diritti e dei doveri civici e morali di una professione. Film che hanno il coraggio (ma ve lo immaginate un cinema europeo che disquisisca sul ventre molle della Airbus, Montedison, UBS o Nestlé di turno?) di osservare il proprio paese, oltre che sé stessi. La vicenda è quella (autentica, rivelata da Vanity Fair nel 1966, mandata in onda dalla CBS all'inizio del medesimo anno: ma soltanto dopo che lo scandalo fosse ormai stato reso noto dal New York Times...) di un ricercatore dell'industria del tabacco, licenziato per aver denunciato le pratiche illecite per aumentare il tasso di nicotina nei prodotti. Accusato di essere un informatore lesivo (e quindi penalmente perseguibile; come dire, più riveli la verità, più sei condannabile) ai doveri corporativi che proteggono la catena del profitto, viene progressivamente abbandonato dal gruppo televisivo che ne ha sollecitato le rivelazioni. E che si rivela essere in rapporti di azionariato con quello del tabacco. Ma, al di là del manicheismo di una situazione oltre che di una parte finale un po' confusa ed esplicativa, THE INSIDER avvicina alla forza rigorosa della sua denuncia un approfondimento umano e psicologico di un'opera sensibile e poetica. In una sceneggiatura costruita con l'efficacia tipica del cinema americano, la direzione d'attori eccelle nella tipologia dei personaggi: se la solita, straordinaria energia di Al Pacino non sorprende più di tanto, se Christopher Plummer è abilissimo nel rendere l'ambiguità di un personaggio autorizzato ad entrare in ogni casa come in ogni coscienza com'è il presentatore televisivo di successo, è Russell Crowe l'elemento portante del film. Coraggioso e svogliato, debole e non proprio simpatico quanto volitivo ed ammirevole, egli è semplicemente un uomo qualunque. Con tutta la credibilità del caso.

Alla dimensione poetica THE INSIDER accede comunque per l'attenzione misurata e sensibile dello sguardo di Mann. Sorretto dalla fotografia splendidamente mutevole di Dante Spinotti, di un commento musicale, rock, ma finalmente originale l'universo registico del film si costruisce su un contrasto continuo di grandi linee e di atmosfere stilizzate (l'orizzonte del mare, l'allenamento notturno sul terreno da golf, gli spaccati orizzontali e verticali amplificati dall'uso sapiente dello schermo largo) e di avvicinamenti convulsi con la macchina a spalla, di riflessi e trasparenze fra gli specchi e le superfici vetrate nelle quali si muovono i personaggi. Da queste rotture nasce uno dei pregi del film: il passaggio continuo dal pubblico al privato, dal confronto sociale a quello famigliare dei personaggi, dai loro conflitti esteriori (la relatività del benessere, l'assicurazione del lavoro) a quelli più intimi (la rettitudine ed il compromesso, la lealtà e gli affetti).

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The film by the unprolific but, on the other hand, largely underrated Michael Mann is in the line of exemplary works such as Alan Pakula's Watergate film, ALL THE PRESIDENT'S MEN. Or on the ethics of information: which date back to 1931, such as Milestone's FIRST PAGE, later taken up in 1974 by Billy Wilder. With one difference: the target of political power is now being replaced by the equally ruthless logic of the economy. Films built on the aesthetics of the detective story, but aiming at political denunciation and almost at militancy, at the need for an ethical role of the simple citizen, of the civic and moral rights and duties of a profession. Films that have the courage (but can you imagine a European cinema that discusses the soft underbelly of Airbus, Montedison, UBS or Nestlé?) to observe their own country, as well as themselves. The story is the one (authentic, revealed by Vanity Fair in 1966, broadcast by CBS at the beginning of the same year: but only after the scandal had already been made public by the New York Times...) of a tobacco industry researcher, fired for having denounced illegal practices to increase the nicotine level in products. Accused of being a whistleblower (and therefore liable to prosecution; as if to say, the more you reveal the truth, the more you are condemned) of the corporate duties that protect the profit chain, he was gradually abandoned by the television group that had solicited his revelations. And which turns out to be in a shareholding relationship with the tobacco group. But beyond the Manichaeism of a situation as well as a final part that is a bit confusing and explanatory, THE INSIDER approaches the rigorous force of its denunciation with a human and psychological deepening of a sensitive and poetic work. In a screenplay constructed with the effectiveness typical of American cinema, the direction of the actors excels in the typology of the characters: if Al Pacino's usual, extraordinary energy is not so surprising, if Christopher Plummer is very clever in rendering the ambiguity of a character authorised to enter every home as well as every conscience as the successful television presenter, it is Russell Crowe who is the film's leading element. Courageous and listless, weak and not exactly likeable but strong-willed and admirable, he is simply an ordinary man. With all the credibility of the case. The poetic dimension of THE INSIDER is accessed through the measured and sensitive attention of Mann's gaze. Supported by Dante Spinotti's splendidly changeable photography, by a rock music commentary, but finally original, the film's directing universe is built on a continuous contrast of broad lines and stylised atmospheres (the sea horizon, the night training on the golf course, the horizontal and vertical cutaways amplified by the skilful use of the wide screen) and of convulsive approaches with the shoulder camera, of reflections and transparencies among the mirrors and glass surfaces in which the characters move. One of the film's strengths stems from these ruptures: the continuous passage from the public to the private, from the social confrontation to the family confrontation of the characters, from their external conflicts (the relativity of wealth, job security) to their more intimate ones (rectitude and compromise, loyalty and affection).

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